sabato 1 gennaio 2011

LINGUAGGIO VUOTO

Segnaliamo questo interessante testo che affronta un problema sottovalutato: il progressivo trasformarsi del significato delle parole che porta a smarrire il senso che, le stesse, possedevano in origine. Ciò va ad aggravare il fatto che, già di per sè, la nostra lingua, se paragonata, ad esempio, al greco antico, non possiede una varietà di termini che possa rendere, con efficacia, la gamma di sensazioni, sentimenti, intuizioni, idee di cui facciamo esperienza, col risultato che c’è molto che rimane, dolorosamente, inespresso e va perduto.

Nel libro viene citata la ricerca fatta negli anni cinquanta da Bob Levy, antropologo e psicoterapeuta, sulla popolazione di Tahiti dove si registrava un altissimo tasso di suicidi. Risultò che i tahitiani non avevano il concetto di dolore al di fuori di quello fisico. Lo provavano. Lo conoscevano. Ma non avevano un concetto o un nome per identificarlo. Non lo consideravano un'emozione normale. Levy definì questo deficit "ipocognizione”.

Un aneddoto riguardante Confucio: “Un giorno un discepolo chiese a Confucio: “ Se un re vi affidasse un territorio da governare, secondo le vostre idee, che fareste per prima cosa?”. Confucio rispose: “Il mio primo dovere sarebbe, certamente, quello di rettificare i nomi.”. Udendo questo il discepolo rimase perplesso: “Rettificare i nomi? E sarebbe questa la vostra priorità? E’ uno scherzo?”. Confucio dovette spiegare: “Se i nomi non sono corretti, se non corrispondono alla realtà, il linguaggio è privo di oggetto. Se il linguaggio è privo di oggetto agire diventa impossibile e quindi tutte le faccende umane vanno a rotoli e gestirle diventa impossibile e senza senso. Per questo il primo compito di un vero uomo di stato diventa rettificare i nomi”.

Concludiamo ricordando come nel suo romanzo “1984”, Orwell immagini che, ad ogni nuova edizione del dizionario della “neolingua” di Oceania, vengano eliminare delle parole col preciso scopo di rendere impossibili pensieri e parole dissenzienti.