Il regista Pedro Almodovar, in occasione del festival di Cannes, parlando dell'amore per il proprio lavoro ha dichiarato: “Il regista è un creatore, è il mestiere più vicino a quello di Dio: puoi dare corpo alla tua immaginazione, ai tuoi fantasmi e hai un potere enorme”.
Parole, queste, che richiamano quelle che lo scrittore statunitense Gore Vidal pronunciò anni fa quando, in una intervista, sostenne che, attraverso Hollywood, era stata creata l’immagine di una America che non esiste.
E’ possibile creare l’immagine di un pianeta che non esiste? Di vite che non esistono? Ambienti virtuali, ai quali, volenti o nolenti, dovremo adattarci?
Qualcuno ha, acutamente, osservato, che le nostre vite tendono a conformarsi ai nostri film ed attori preferiti.
Ma i modelli e le suggestioni non provengono soltanto dalle opere cinematografiche.
Possiamo dire che tutta la comunicazione in cui siamo, costantemente, immersi, col pretesto di “informarci”, va a creare quell’immaginario che andrà, poi, a costruire la nostra idea di realtà.
Noi non percepiamo la realtà in quanto tale, ma la favola che ci è stata raccontata e spacciata per vera.
Cinema, pubblicità, letteratura, fumetti, canzoni, opere d’arte, mezzi di informazione edificano le scenografie in cui viviamo.
Non soltanto, quindi, i registi, ma i creativi del marketing, gli scrittori, gli autori dei testi delle canzoni, gli artisti e i giornalisti plasmano la nostra visione del mondo e, di conseguenza, le nostre esistenze.
I parametri dell’amore, del successo, della bellezza, della onestà, del talento, della intelligenza, della virilità, del lavoro, vengono definiti da questi costruttori di fondali, immaginari set studiati ad uso e consumo del “mercato” e, nei quali, l’”uomo”, in quanto tale, non potrà che soccombere.