martedì 15 novembre 2011

I TESTI DI C.... (AMORE E CONFORMISMO)

NON SEMPRE QUELLO CHE METTIAMO NELL'IPOD E' INNOCUO COME SEMBRA.


AMORE - OSSESSIONE


Senza te morirei 
Senza te scoppierei 
Senza te brucerei 
tutti i sogni miei 
solo senza di te 
che farei 
senza te 
senza te 
senza te 
Solo senza di te 
che farei senza te 
che farei senza te
(Sabato pomeriggio di Claudio Baglioni 1975)


AMORE - LIBERTA'

Come si possono amare le perone quando si ha bisogno di loro? Sì possono solo usare.
(Antony de Mello)

Ci siamo domandati se un essere umano possa amarne un altro mettendo da parte ambizione, interessi personali, gelosia, aggressività, antagonismo, attaccamento, sopraffazione e così via. Finchè esistono queste cose non c'è amore.
(Jiddu Krishnamurti)

INNI AL CONFORMISMO


Diciamoci la verità
per far cantare tutti 
la canzone c'è
è questo ritornello che
che non vuol dire niente
però il segreto c'è
chi non la canta subito
chi non la canta subito
in un momento, alè, diventa brutto!
e invece: quelli belli come noi
(che sono tanti!)
a cantarla tutto il giorno vanno avanti!
cantarla ci fa bene
ma proprio bene bene
chi non la sa cantare 
resta solo
e solo che cosa fa?
ancor più brutto diventerà
e invece: quelli belli come noi
(che sono tanti!)
a cantarla tutto il giorno vanno avanti!
tanti!
avanti!
tanti!

sigla di (Canzonissima 1969)





Desmond ha un carretto al mercato
Molly canta in un complesso
Desmond dice a Molly mi piace il tuo viso
E Molly mentre lo prende per mano dice:
Obladi...La vita va
La la come la vita va

Desmond prende un tram e va dal gioielliere
compra un anello d’oro 20 carati
lo porta a Molly che aspetta sulla porta
E mentre glielo da lei comincia a cantare:
In un paio d’anni hanno costruito
una casa, dolce casa
con un paio di bambini che corrono nel cortile
Di Desmond e Molly Jones
Felice da allora in poi al mercato
Molly lascia che i bambini diano una mano
Desmond resta a casa a truccarsi
E la sera canta nel complesso
E se volete divertirvi, attaccate Obladi Oblada

(Obladi Oblata, Beatles 1968)










venerdì 30 settembre 2011

SATYAGRAHA 2011


Saremo presenti a SATYAGRAHA 2011 con lo stand di BOOK TALK SHOW.

Sabato 1 ottobre, alle ore 21, BOOK TALK SHOW sul tema: "I NEURONI DELLA GUERRA":  le basi anatomiche della violenza.

"Mi sentivo un genio liberato dalla lampada. L’energia del mio spirito sembrava galleggiare come una enorme  balena in un oceano di muta euforia". (Dott.ssa Jill Bolte Taylor)

"L'ictus non mi ha aperto gli occhi soltanto sulla bellezza e sulla capacità di recupero del cervello, ma anche sulla generosità dell'animo umano". (Dott.ssa Jill Bolte Taylor)

L'evento avrà luogo alla LIMONAIA DI VILLA STROZZI, via Pisana, 77, a Firenze.

martedì 24 maggio 2011

VITE SOTTOTITOLATE

Le telecronache ci hanno progressivamente abituati alla idea della necessità di farsi raccontare e spiegare da un “competente” quello che stiamo vedendo con i nostri occhi.

Da qui a credere che per farsi una idea del mondo e di noi stessi si debba, necessariamente, ricorrere a un qualche ”esperto”, il passo non è poi così lungo.

IL PENE, LE TETTE E LOBO FRONTALE

Questo post è riservato a coloro, speriamo pochi, che, dopo aver assistito ad una performance di Rocco Siffredi o guardato una foto di Pamela Anderson, hanno pensato, con una punta di invidia, che con qualche centimetro cubo in più, al posto giusto, la vita sarebbe stata tutt’altra cosa.

Dato che c'è da supporre che questi fanatici dell’XL, non abbiano mai pensato ad indagare sui cubaggi del proprio lobo frontale ci permettiamo di dare qualche, speriamo utile, informazione.

Con una cifra inferiore ai 1000 euro, si possono verificare le dimensioni di questa, essenziale, porzione del nostro cervello. (Raccomandiamo un giretto sul web e cercare informazioni riguardo “l’analisi volumetrica del lobo frontale”).

Domanda, legittima,: ma perchè il lobo frontale? Dal momento che non migliora né look, né sex appeal ed è così poco trendy.

Risposte:

Guardare il film “Qualcuno volò sul nido del cuculo”,.

Ci sono forme di demenza legate al suo insufficiente funzionamento.

Con l’avanzare dell’età il suo spessore tende, fisiologicamente ad assottigliarsi.

Se si vuol rendere sottomesso un individuo è sufficiente sottoporlo a lobotomizzazione.

"Se non lo usi lo perdi" ammoniscono i neuroscienziati.

Basterebbero queste, pur brevi, argomentazioni per comprendere la centralità della faccenda.

Non è rassicurante, fra le altre cose, la prospettiva di un pianeta popolato da idioti maggiorati.

Bibliografia minima.

Il lobo frontali coordinano le altre regioni cerebrali e permettono alla mente di concentrarsi sull'aspetto principale di una situazione, di porsi degli obiettivi a luogo termine. (“Il cervello infinito” di Normai Doidge)

Imparare ad acquietare il chiacchericcio interiore che risulta da una focalizzazione quasi ossessiva sull'ambiente esterno e l'occuparsi del conseguente stato emozionale da cui siamo diventati dipendenti significa servirsi del nostro dono più grande, il lobo frontale. (“Evolvi il tuo cervello” di Joe Dispenza)




domenica 22 maggio 2011

INCONGRUENZE IDEO-AFFETTIVE

A volte si ha la, sgradevole, sensazione che le nostre idee e le nostre sensazioni “istintive” siano in qualche modo difformi da quelle prescritte dalle convenzioni sociali.

L’abitudine, ci porta, poi, a dare maggior credito alle seconde a discapito delle prime.

Il caso più frequente è quando non riusciamo a sentirci partecipi di un evento per il quale gli altri sembrano provare un, per noi, ingiustificato interesse.

Oppure, al contrario, siamo persuasi della importanza di certe idee o fatti che vengono snobbati o ignorati dai più.

Se impiegassimo un po’ di tempo ad analizzare la cosa scopriremmo, non senza stupore, che il nostro “istinto” è un ottimo consigliere.

La quasi totalità delle convinzioni e dei comportamenti predominanti sono, infatti, accettati ed agiti in modo automatico ed acritico: si pensa ciò che va pensato, ci si appassiona a ciò cui ci si deve appassionare e si parla di ciò di cui si deve parlare.

Chi non sappia, adeguarsi a questa, stupida, logica non concluda, sbrigativamente, che qualcosa in lui non va.

In questo caso il “disagio” è sintomo di buona salute.

venerdì 20 maggio 2011

CREATORI DI MONDI

Il regista Pedro Almodovar, in occasione del festival di Cannes, parlando dell'amore per il proprio lavoro ha dichiarato: “Il regista è un creatore, è il mestiere più vicino a quello di Dio: puoi dare corpo alla tua immaginazione, ai tuoi fantasmi e hai un potere enorme”.

Parole, queste, che richiamano quelle che lo scrittore statunitense Gore Vidal pronunciò anni fa quando, in una intervista, sostenne che, attraverso Hollywood, era stata creata l’immagine di una America che non esiste.

E’ possibile creare l’immagine di un pianeta che non esiste? Di vite che non esistono? Ambienti virtuali, ai quali, volenti o nolenti, dovremo adattarci?

Qualcuno ha, acutamente, osservato, che le nostre vite tendono a conformarsi ai nostri film ed attori preferiti.

Ma i modelli e le suggestioni non provengono soltanto dalle opere cinematografiche.

Possiamo dire che tutta la comunicazione in cui siamo, costantemente, immersi, col pretesto di “informarci”, va a creare quell’immaginario che andrà, poi, a costruire la nostra idea di realtà.

Noi non percepiamo la realtà in quanto tale, ma la favola che ci è stata raccontata e spacciata per vera.

Cinema, pubblicità, letteratura, fumetti, canzoni, opere d’arte, mezzi di informazione edificano le scenografie in cui viviamo.

Non soltanto, quindi, i registi, ma i creativi del marketing, gli scrittori, gli autori dei testi delle canzoni, gli artisti e i giornalisti plasmano la nostra visione del mondo e, di conseguenza, le nostre esistenze.

I parametri dell’amore, del successo, della bellezza, della onestà, del talento, della intelligenza, della virilità, del lavoro, vengono definiti da questi costruttori di fondali, immaginari set studiati ad uso e consumo del “mercato” e, nei quali, l’”uomo”, in quanto tale, non potrà che soccombere.

sabato 14 maggio 2011

"MA I FINI DELLA ECONOMIA SONO ANCORA I NOSTRI FINI?"

Se lo chiede, opportunamente, Francesco Totaro nel suo libro "Non di solo lavoro".
E' una domanda questa, che dovremmo porci con più frequenza per comprendere se i "progressi", che caratterizzano la modernità, vadano a vantaggio dell'uomo o del sistema che regola la sua esistenza.
Si ha, infatti, la sensazione che molte istituzioni umane (religioni, strutture per l'assistenza medica e psicologica, ricerca scientifica, stati nazionali) siano, perversamente, congegnate in modo da rafforzare e perpetuare se stesse ai danni dell'umanità che dovrebbero favorire.



venerdì 13 maggio 2011

FARMACOMICITA'

Qualche tempo fa ci imbattemmo nel foglietto illustrativo di un noto psicofarmaco, tra le cui indicazioni era annoverato il trattamento della "felicità inappropriata".
Detto in altri termini, mostrarsi euforici ed appagati dopo aver acquistato l'ennesimo, inutile aggeggio, è da ritenersi "normale", ma se lo stesso stato mentale risulta svincolato da fattori esterni, nasce cioè "dal di dentro", ha da essere annoverato come disturbo psichiatrico, oltre che gravemente lesivo per il PIL.
Nella sua tragicità la cosa risulta quasi divertente.

Per saperne di più:

Vorremmo, con l'occasione, proporre la realizzazione un pubblico incontro dal titolo: FARMACOMICITA' - Segnalazioni ed esperienze sulle facezie della farmacologia.

sabato 7 maggio 2011

USCIRE DA FLATLAND


“NON SI PUO’ RISOLVERE UN PROBLEMA CON LA STESSA MENTALITA’ CHE L’HA GENERATO” ammoniva Albert Einstein.

Occorre cambiare il punto di vista, porsi all’esterno del sistema e osservarlo dal di fuori.

Detto più semplicemente occorre cambiare il modo di pensare.

E per cambiare il modo di pensare esistono due alternative: cambiare le nostre fonti di informazione e/o, preferibilmente, cominciare ad usare la testa in modo autonomo.

L’illuminante dialogo tratto dal film “K-PAX”, che ha per protagonisti uno psichiatra ed un extraterrestre proveniente dal lontano pianeta “K-PAX”, mostra quanto più lucida possa essere la valutazione delle cose quando le si vedano con un maggiore angolo di visuale.

GLI, INSUPERABILI, LIMITI DELLA POLITICA.

Tra il 1943 e il 1954 lo psicologo statunitense Abraham Maslow concepì il concetto di gerarchia dei bisogni e la espose nel libro “Motivazione e personalità”del 1954.

Questa scala è conosciuta come "La piramide di Maslow".

I livelli di bisogno concepiti sono:

1. Bisogni fisiologici (fame,sete, ecc.)

2. Bisogni di salvezza, sicurezza e protezione

3. Bisogni di appartenenza (affetto, identificazione)

4. Bisogni di stima, di prestigio, di successo

5. Bisogni di realizzazione di sé

La politica può occuparsi, per forza di cose, solo dei primi due livelli della piramide, lavorando, cioè, per garantire le condizioni di base per il soddisfacimento dei bisogni “alti” della piramide stessa.

Nei paesi occidentali, a partire dal dopoguerra, si sono, effettivamente, andate creando quelle condizioni di ricchezza che, svincolando le società dagli impegni legati a sopravvivenza e sicurezza, avrebbero potuto consentire di concentrarsi sul soddisfacimento dei bisogni più “elevati”, ma l’opportunità non è stata, per ora, colta.

Qui la politica non c’entra niente, è una faccenda di responsabilità e scelte individuali.

Il fatto è che è più comodo parlare delle, oggettive, manchevolezze della prima e tacere completamente, o quasi, su quelle della seconda.

venerdì 6 maggio 2011

SEI UNO SCHIAVO, NEO!


Sintetica e suggestiva descrizione di FLATLANDIA.
La prigione mentale in cui tutti noi siamo reclusi.
La sola cosa che ci è concesso di fare è rendere la cella un po' più confortevole, con qualche gadget che, in definitiva, ci renderà ancora più schiavi.
Non si tratta, comunque, di una idea recente, se già 2000 anni fa alcune sette gnostiche asserivano che "il mondo era un errore cosmico creato da una divinità malvagia come luogo di detenzione per imprigionare gli uomini e soggiogarli al dolore e alla sofferenza". (da "I cristianesimi perduti" di Ehrman Bart)




giovedì 5 maggio 2011

DEPRESSIONE, ANSIA, ATTACCO DI PANICO. INTERPRETAZIONI FUORI DAL CORO

Quando c’è malattia, si sa, c’è sofferenza, ma non si può, sempre, dire che la sofferenza deriva da una patologia.

Di seguito riportiamo alcuni estratti dai testi di Carlos Castaneda nei quali viene spiegata l’origine di alcuni “disturbi” che, solitamente, vengono classificati come patologici e, quindi, medicalizzati.

La visione di Castaneda che, notoriamente, si rifà alla saggezza degli indiani Toltechi dell’antico Messico, si basa sullo stesso presupposto che portò Gerd B. Achenbach, a proporre la “consulenza filosofica” come metodo per affrontare il disagio psicologico. Disagio psicologico che, per Achembach, sarebbe, in alcuni casi, riconducibile a particolari “visioni del mondo” che l’individuo avrebbe appreso ed, acriticamente, accettato dal proprio contesto sociale.

In tali casi l’intervento "terapeutico" risulterebbe, non solo inefficace, ma completamente arbitrario.

Uno dei più noti consulenti filosofici è Lou Marinoff autore del best seller “Platone è meglio del prozac”.

La mia angoscia, per esempio, era una scena in cui io guardavo me stesso con la sensazione di essere chiuso dentro me stesso. E’ questa scena che chiamo angoscia. (L’isola del tonal)

Una notte mi svegliai atterrito, incapace di respirare... il medico mi prescrisse un tranquillante e mi suggerì di respirare in un sacchetto di carta qualora l'attacco si fosse ripetuto...la Gorda mi assicurò, con tutta calma, che non si trattava affatto di una malattia, ma che, finalmente, stavo perdendo le mie difese e che l'esperienza attraverso cui stavo passando era quella della 'perdita della forma umana. Aggiunse che nel suo caso, la disintegrazione della forma era iniziata dall'utero, con fortissimi dolori ed una insolita pressione che, lentamente, le sì spostava in due direzioni giù per le gambe e su per la gola. (Il dono dell’aquila)

Dissi a don Juan che mi ero reso conto che l'interruzione del dialogo interiore comportava qualcosa di più della semplice interruzione delle parole rivolte a me stesso. Tutto il mio processo del pensare si era interrotto ed io mi ero trovato praticamente sospeso, fluttuante. Da questa consapevolezza era nato un senso di panico per cui, come antidoto, avevo dovuto riprendere il dialogo interno. (L'isola del tonal)

Quello che Don Juan definiva "la fondazione del sognare", consisteva in una lotta mortale della mente con se stessa e affermò che una parte di me avrebbe fatto ogni sforzo per impedirmi di raggiungere il successo. Poteva darsi che, nel corso della lotta, tale parte di me mi provocasse perdita di pensiero, melanconia, o anche depressione tendente al suicidio. (L'isola del tonal)

Avevo perso completamente il mio equilibrio. Nel mio stato di consapevolezza normale mi sentivo scombussolato. Era come se avessi perduto un punto di riferimento. Mi sentivo abbattuto, sconsolato. Dissi a don Juan che avevo perduto anche il desiderio di vivere…..fui sopraffatto da un tale senso di disperazione che mi misi a piangere. Don Juan e Genaro risero fino alle lacrime. Più io mi sentivo disperato, più cresceva il loro divertimento. Finalmente don Juan mi fece entrare in uno stato di consapevolezza intensa e mi spiegò che il fatto che ridessero di me non era crudeltà da parte loro né tanto meno il risultato di uno strano senso dell'umorismo, ma la genuina espressione della felicità di vedermi avanzare sulla via della conoscenza. 'Ti dirò quello che soleva dirmi il nagual Juliàn quando arrivavamo al punto in cui sei tu”, proseguì don Juan, 'così saprai di non essere solo. Quel che ti sta capitando, capita a chiunque accumuli abbastanza energia per poter dare uno sguardo all'ignoto.' (Il fuoco dal profondo)

La depressione che provavano, diceva il nagual Juliàn, non era tanto la tristezza per aver perso un nido noioso e limitato, ma soprattutto la seccatura di dover cercare un nuovo alloggio. 'i nuovi alloggi' continuò don Juan 'non sono così comodi o accoglienti, ma sono infinitamente più ampi e spaziosi. La tua notifica di sfratto si presentò sotto la forma di una grande depressione e della mancanza di voglia di vivere, proprio come accadde a noi. Quando ci dicesti che non volevi più continuare a vivere, non potemmo fare a meno di ridere.' (Il fuoco dal profondo)

Mi sembrava di non essere quell’io che conoscevo. “Non capisco perché ve ne stupiate tanto,” disse don Juan. “Ogni volta che il dialogo interiore si interrompe il mondo sprofonda e affiorano straordinarie sfaccettature di noi, come se fossero state fino a quel momento tenute nascoste dalle nostre parole. Voi siete così come siete, poiché vi dite che siete appunto così. (L'isola del tonal)

Mi sentivo in un modo terribilmente strano. Ero calmo, imperturbabile. Uno stato di incredibile indifferenza e freddezza si era impadronito di me. (L'isola del tonal)

In me c’era qualcosa che lottava disperatamente per far prendere alla situazione una svolta familiare. Cercavo di essere spaventato e interessato. (L'isola del tonal)

Il ritorno del mio io consueto fu anche il ritorno dei miei consueti timori. Stranamente ero meno spaventato di essere spaventato che di non esserlo affatto. La familiarità delle mie vecchie abitudini, per quanto spiacevoli era un sollievo delizioso. (L’isola del tonal)

Quando si esaurisce l’inerzia del dialogo interno il mondo diventa nuovo. L’ondata di energia si sente come un buco insopportabile che si apre sotto i piedi. Per tale ragione il guerriero può passare anni di instabilità mentale. L’unica cosa che lo conforta in tale situazione è mantenere chiaro il proposito del suo cammino e non perdere, per nessuna circostanza, la sua prospettiva di libertà. Un guerriero impeccabile non perde mai l’equilibrio. (Incontri con il Nagual)

Desideravo sostenere la conversazione, ma qualcosa in me era incompleto. Provavo una insolita indifferenza, una stanchezza simile alla noia. (L’isola del tonal)

venerdì 29 aprile 2011

COMPUTER E STUPIDITA' ARTIFICIALE

“INTELLIGENZA ARTIFICIALE” è definizione coniata nel 1956 dal matematico statunitense John McCarthy, oramai entrata a far parte del lessico quotidiano.

L’espressione, come si sa, si riferisce al complesso delle elaborazioni effettuate dai computer, che consistono in ordinarie, anche se rapidissime, operazioni di calcolo.

L’intelligenza equivarrebbe, quindi, ad una qualche abilità nel calcolo.

Considerando che il calcolo consiste in una serie di passaggi che conducono, a partire da alcuni dati iniziali, attraverso percorsi obbligati (algoritmi e software), ad un risultato finale, suona, a dir poco, riduttivo considerare “intelligente” un qualcosa di così “meccanico”, “prevedibile e, soprattutto, manipolabile.

Alla luce di ciò sarebbe, forse, più appropriata l’espressione “STUPIDITA’ ARTIFICIALE”, dove il termine stupidità, inteso come “modus operandi” e non come giudizio di valore, indicherebbe una procedura che si svolge con modalità predefinite.

Se riportiamo al comportamento umano il ragionamento ci troviamo di fronte a questioni delicate.

Potremmo chiederci se siano ipotizzabili comportamenti umani non predefiniti, che esulino dalla programmazione impartita dal gruppo sociale, ovvero non connotati da stupidità.

Il grande logico matematico Emile Post aveva posto la questione nei seguenti termini:

“La mente umana è determinata da un programma che essa eseguirebbe senza conoscerlo?...pensare secondo regole predefinite significa pensare come una macchina. Siamo allora macchine? ....o possiamo, in qualche modo, far deviare la mente fino a sganciarla da questi programmi? Possiamo immaginare un processo di pensiero che nessuna macchina di Turing sarebbe in grado di riprodurre?”

Anche Gustav Jung si occupò della questione quando parlò del “PROCESSO DI INDIVIDUAZIONE”, grazie al quale l'individuo può affermare la sua autonomia rispetto ai modelli collettivi.

Date queste premesse l’aforisma, di autore ignoto, che recita “I computer non potranno mai rimpiazzare la stupidità umana”, potrebbe essere riformulato nei seguenti termini: “I computer rappresentano l’espressione tecnologica della stupidità umana”.

martedì 12 aprile 2011

Da Ireneo a Freud: una lobotomia lunga diciotto secoli?

Scrive Norman Doidge a pag. 56 del suo libro “Il cervello infinito”:
“In un cervello immaturo il numero di connessioni neuronali, o sinapsi, è superiore del cinquanta per cento rispetto ad un cervello adulto. Quando raggiungiamo l'adolescenza il cervello mette in atto una operazione di radicale 'potatura': le sinapsi e i neuroni che sono stati utilizzati in maniera limitata improvvisamente muoiono secondo il principio 'use it or lose it', usalo o lo perderai”.

Il cervello verrebbe cioè “depotenziato” dai processi di socializzazione.

Da qui una domanda: il mancato utilizzo di una funzionalità cerebrale può determinarne la compromissione?

Detto in altri termini: si può ipotizzare che una “cultura” possa “scoraggiare” l’utilizzo di alcune facoltà mentali e provocare una menomazione cerebrale?

Secondo il professor Umberto Galimberti una operazione di rimozione si è, effettivamente, verificata:

“E' la gnosi: una storia che oggi può apparire di nessun interesse se non fosse nata dall' incontro tra Oriente ed Occidente e se l'Occidente , per realizzare se stesso secondo il modello che la razionalità greca aveva appena coniato, non avesse impiegato diversi secoli per rimuoverla, costringendola a quella vita sommersa, segreta, esoterica” (Repubblica del 22/9/2007)

Leggendo gli scritti di Ireneo da Lione, vissuto a cavallo tra il secondo e il terzo secolo dopo Cristo e considerato uno dei Padri della Chiesa, si resta meravigliati dell’accanimento con cui si oppone all’utilizzo, da parte dei cosiddetti “eretici” (da non dimenticare che “eretico” significava, in origine, “colui che compie una scelta”) della “epinoia”.

“Epinoia” è un termine che compare frequentemente in antichi testi cristiani, i cosiddetti “apocrifi”, che non sono stati inclusi nel cosiddetto “canone”.

Nei vangeli canonici, invece, ci imbattiamo nel termine “metanoia” e precisamente nel vangelo di Luca: “La metanoia è questione di vita o di morte” (Lc 13,3.5) e in quello di Marco: “Ad essa è condizionata la salvezza futura” (Mc 6,12).

Non esistono traduzioni precise dei termini “epinoia” e “metanoia”, ( imparentati strettamente con la “gnosi”), ma risulta evidente come ad essi gli antichi attribuissero una particolare importanza.

Aiutiamoci con la lettura de “Il vangelo segreto di Tommaso” di Elaine Pagels:

“(Ireneo) ribadì più volte che le Scritture andavano lette con dianoia, ossia con la capacità di discernere il significato o l'intenzione impliciti nel testo. E soprattutto ammonì i fedeli a guardarsi dall'epinoia… conoscere Dio «non attraverso la teologia dogmatica, ma attraverso l'esperienza viva e l'intuizione»

“Un altro libro scoperto a Nag Hammadi, intitolato L'Origine del Mondo, afferma che quando il primo uomo e la prima donna si accorsero della propria nudità, «capirono di essere privi della comprensione spirituale [gnosi]». Ma ecco «apparire, sfolgorante di luce», la radiosa epinoia, che ne «risvegliò la coscienza»”.

Sappiamo che anche Sigmund Freud manifestò un certo fastidio riguardo a stati di coscienza che esulassero da quelli ordinari.

Dal lungo carteggio intrattenuto con Romain Rolland si evince come Freud abbia negato con decisione l’oggettività di quegli stati caratterizzati da senso di eternità, positività, coscienza profonda di se stesso, di quella sensazione di benessere supremo, che egli definì “sentimento oceanico”. Ne “Il disagio della civiltà” ammise: “Per quel che mi riguarda, non riesco a scoprire in me questo sentimento oceanico”. Ed è in conseguenza di questa sua “limitatezza”, che egli non incluse il “sentimento oceanico” nel sistema delle sue teorie psicologiche e terapeutiche.

Nel recente “La scoperta del giardino della mente” la neuroscienziata statunitense Jill Bolte Taylor (http://www.youtube.com/watch?v=WtgP_yM8E4I), narra, in maniera estremamente efficace, di come lei stessa, a seguito di un ictus cerebrale, sia giunta a sperimentare similari stati di coscienza.
In qualità di “addetta ai lavori” la Dott.ssa Taylor fornisce una dettagliatissima spiegazione del perché simili esperienze possano verificarsi, di quali siano i meccanismi fisiologici ed esse sottese e, soprattutto, di come siano alla portata di chiunque, senza, necessariamente passare per l’esperienza dell’ictus.

“L'ictus mi ha aperto gli occhi non soltanto sulla bellezza e sulla capacità di recupero del cervello, ma anche sulla generosità dell'animo umano”. (pag. 131)

“Aiutare la gente a tirare fuori la pace, la gioia e la grande bellezza che ha dentro è diventata, per me, una missione”. (pag. 132)

Tirando le somme, ci troviamo di fronte alla, curiosa, evidenza storica che sia il Dott. Freud che il vescovo Ireneo abbiano, concordemente, manifestato una certa “intolleranza” nei confronti quelle esperienze “estatiche”, che le più avanzate ricerche nel campo delle neuroscienze stanno, oggi, ipotizzando come derivabili da un utilizzo ottimale del nostro cervello.

Il neuroscienziato americano Joe Dispensa (http://www.youtube.com/watch?v=9s3ciIjnz1E&feature=related) è fra quei ricercatori che tendono a ricondurre questi stati particolari della coscienza alla attività del lobo frontale, la cui funzione descrive in questi termini:

“Il lobo frontale è una porta che dobbiamo attraversare se scegliamo di spezzare il ciclo del pensare e agire, agire e pensare ripetitivamente. Se vogliamo liberarci dalla dipendenza emozionale a base chimica che ha il dominio sulla nostra vita dobbiamo imparare ad utilizzare questa meraviglia del nostro sviluppo evolutivo chiamato lobo frontale”. (da “Evolvi il tuo cervello” pag. 279)

“Imparare ad acquietare il chiacchericcio interiore che risulta da una focalizzazione quasi ossessiva sull'ambiente esterno e l'occuparsi del conseguente stato emozionale da cui siamo diventati dipendenti significa servirsi del nostro dono più grande, il lobo frontale”. (da “Evolvi il tuo cervello” pag. 342)

Misurazioni effettuate sul cervello di monaci che praticano la meditazione hanno evidenziato che l’atto meditativo determina un incremento della attività del lobo frontale e, in tempi sufficientemente lunghi, un incremento volumetrico del lobo stesso.

Va da sé che il non-uso ne determini, all’opposto, una, progressiva, atrofizzazione.

Una lenta, indolore, allegra e spensierata, lobotomizzazione “culturale” di massa, efficacemente narrata nel libro "Il mondo nuovo" da Aldous Huxley e nel, tragicamente, comico film "Idiocracy" di Myke Judge.

martedì 5 aprile 2011

LA VERA SCHIAVITU' DELLE DONNE

Riportiamo un passo di notevole interesse psicologico e sociale tratto dal libro "ESSERE NEL SOGNO" di Florinda Donner-Grau, che costituirà l'argomento di riflessione dell'incontro di questa sera al circolo Vie Nuove di Firenze.

“Ciò che mi preoccupa”, continuò Delia: “è che tu non sai nemmeno che, per il semplice fatto di essere donna, sei una schiava.”

Raccogliendo tutta la pazienza di cui ero capace, dissi a Delia che si sbagliava. “Oggigiorno nessuno è schiavo.”

“Le donne sono schiave”, insistette Delia. “Gli uomini rendono schiave le donne. Gli uomini ottenebrano le donne. Il loro desiderio di marchiare le donne come loro proprietà ci annebbia”, dichiarò. “Questa nebbia circonda il nostro collo come un giogo.” Il mio sguardo vacuo la fece sorridere. Si appoggiò al sedile stringendosi le mani sul petto. “Il sesso annebbia le donne”, aggiunse dolcemente e tuttavia enfaticamente. “Le donne sono così completamente annebbiate, che non riescono a considerare la possibilità che la loro bassa condizione nella vita è il diretto risultato di ciò che subiscono sessualmente.”

“Questa è la cosa più ridicola che io abbia mai udito”, esclamai. Poi, piuttosto saccentemente, mi lanciai in una lunga diatriba sulle ragioni sociali, economiche e politiche della bassa condizione femminile. Parlai profusamente dei cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni, di come le donne avessero avuto successo nella loro battaglia contro la supremazia maschile. Irritata dalla sua espressione di derisione, non potei fare a meno di commentare che senza dubbio era vittima di pregiudizi causati dalle sue stesse esperienze, dalla sua prospettiva personale.

L’intero corpo di Delia era scosso da una repressa ilarità. Fece uno sforzo per contenersi e disse: “Nulla è realmente cambiato. Le donne sono schiave. Siamo state educate ad essere schiave. Le schiave colte, sono ora occupate a denunciare gli abusi sociali e politici

commessi contro le donne. Comunque, nessuna delle schiave è in grado di mettere a fuoco la radice della loro schiavitù - l’atto sessuale- a meno che prenda in considerazione lo stupro o qualche altra forma di abuso fisico.”

Un leggero sorriso separò le sue labbra mentre diceva che gli uomini di religione, i filosofi e gli scienziati hanno affermato per secoli, e naturalmente lo fanno ancora, che gli uomini e le donne devono seguire un imperativo biologico, dettato da Dio, che ha a che fare direttamente con le loro capacità sessuali e riproduttive. “Siamo state indotte a credere che il sesso sia benefico per noi”, ella enfatizzò. “La convinzione derivante da questa accettazione ci ha rese incapaci di porci la giusta domanda.”

“E qual è questa domanda?” chiesi, sforzandomi di non ridere delle sue convinzioni completamente sbagliate.

Delia non sembrò avermi sentita, restò in silenzio così a lungo che pensai si fosse addormentata e trasalii quando disse: “La domanda che nessuno osa porsi è: qual è, su noi donne, l’effettivo risultato del farsi mettere in posizione orizzontale?”

“Dai Delia!” La rimproverai fingendo costernazione.

“L’annebbiamento delle donne è tale che, pur mettendo a fuoco ogni altro elemento della nostra inferiorità, non riusciamo a farlo con quello che è la causa di tutti gli altri”, ella affermò.

“Ma, Delia, non possiamo fare a meno del sesso”, risi. “Che cosa accadrebbe alla razza umana se non…”

Ella bloccò la mia domanda e la mia risata con un gesto imperativo della mano. “Oggigiorno, le donne come te, nel loro zelo di eguaglianza, imitano gli uomini”, disse. “Le donne imitano gli uomini in misura tale che il sesso a cui sono interessate non ha nulla a che fare con la riproduzione. Scambiano il sesso con la libertà, senza mai considerare ciò che il sesso provoca al loro benessere fisico ed emozionale. Siamo state così completamente indottrinate, che crediamo fermamente che il sesso sia benefico per noi.”

Mi diede un colpetto col gomito e poi, come se stesse recitando una salmodia, aggiunse con tono cantilenante: “Il sesso ci fa bene. È piacevole. E necessario. Allevia la depressione, la repressione e la frustrazione. Cura il mal di testa, l’alta e la bassa pressione. Fa scomparire l’acne. Abbellisce il seno e il sedere. Regola il ciclo mestruale. In breve, è fantastico! È benefico per le donne. Tutti lo dicono. Tutti lo raccomandano.” Fece una pausa di un istante e poi per finire declamò: “Una scopata al giorno leva il medico di torno.”

Trovai le sue affermazioni terribilmente divertenti, ma poi divenni improvvisamente seria, mentre ricordavo che la famiglia e gli amici, incluso il nostro medico, l’avevano suggerito - sebbene non così palesemente - come cura di tutti i disturbi adolescenziali di cui soffrivo, essendo cresciuta in un ambiente molto repressivo. Avevano detto che una volta che fossi stata sposata, avrei avuto cicli mestruali regolari. Avrei guadagnato peso. Avrei dormito meglio. Avrei avutoun carattere più dolce.

“Non vedo nulla di sbagliato nel volere il sesso e l’amore”, dissi sulla difensiva. “Quello che ho sperimentato a questo proposito mi è piaciuto moltissimo. E nessuno mi annebbia. Sono libera! Scelgo chi voglio e quando lo voglio.”

C’era una scintilla di ilarità negli scuri occhi di Delia mentre diceva: “Scegliere il tuo compagno non altera in alcun modo il fatto che vieni scopata.” Poi con un sorriso, come a voler mitigare l’asprezza del suo tono, aggiunse: “Scambiare il sesso con la libertà è l’apice dell’ironia. L’annebbiamento causato dagli uomini è così completo, così totale, che ci ha private dell’energia e dell’immaginazione necessarie per mettere a fuoco la vera causa della nostra schiavitù”.

Enfatizzò: “Volere un uomo sessualmente o innamorarsi di lui romanticamente sono le due sole scelte date alle schiave. E tutte le cose che ci sono state dette circa queste due scelte non sono altro che scuse per farci cadere nella complicità e nell’ignoranza.”

Ero indignata. Non potevo fare a meno di pensare che fosse una sorta di megera repressa che odiava gli uomini: “Perché disprezzi così tanto gli uomini, Delia?” le chiesi nel mio tono più cinico.

“Non li disprezzo”, mi assicurò. “Ciò a cui mi oppongo appassionatamente è la nostra riluttanza ad esaminare quanto siamo indottrinate. La pressione che subiamo è così implacabile e ammantata di ragionevolezza che siamo diventate complici volontarie. Chiunque osi pensare diversamente viene messa da parte e derisa come una che odia gli uomini o come vittima di una anomalia.”

Arrossendo, la guardai furtivamente. Decisi che poteva parlare in modo così sprezzante del sesso e dell’amore perché, dopotutto, era vecchia. I desideri fisici erano tutti alle sue spalle.

Ridacchiando dolcemente, Delia intrecciò le mani dietro alla testa. “I miei desideri fisici sono alle mie spalle non perché sono vecchia”, confidò, “ma perché mi è stata data la possibilità di usare la mia energia e la mia immaginazione per diventare qualcosa di diverso rispetto alla schiava che avrei dovuto essere.”

domenica 6 marzo 2011

ANGOSCIA, FILOSOFIA E RIVOLUZIONE (VERA)

Scrisse Henri Pradal, medico e tossicologo francese, nel suo libro “Il mercato dell’angoscia” nel 1977, oramai introvabile, almeno in lingua italiana:

“Se tutti coloro che partecipano alla marcia trionfante della civiltà industriale si trovassero, dall’oggi al domani, liberati dall’angoscia che li spinge ad agitarsi e a combattere, a scordarsi di vivere per guadagnarsi la vita o acquistarsi un po’ più di potere, è molto probabile che si assisterebbe a un fenomeno assai simile a quello che abbiamo preso per esempio, la differenza consistendo soprattutto nella generalizzazione delle conseguenze di questa rottura delle regole del gioco. Non si tratterebbe più di un semplice fallimento bancario, bensì della disintegrazione del nostro sistema socioeconomico”.

Scrisse il filosofo, anche lui francese, Pierre Hadot nel suo “Esercizi spirituali e filosofia antica”:

“In primo luogo la filosofia si presentava come una terapia destinata a guarire l’angoscia”.

Nell'incontro previsto martedì 8 marzo, alle ore 17,30, presso la LIBRERIA MARTELLI, via Martelli, 22r - Firenze, affronteremo l'argomento parlando del filosofo greco GIORGIO GEMISTO PLETONE.




venerdì 4 febbraio 2011

TESTI DI C.....

Nel suo romanzo 1984” George Orwell descrisse, già nel lontano 1948, una società oppressa da una spietata dittatura mediatico-tecnologica.

E’ noto il successo ottenuto dall’espressione “Grande fratello”, creata da Orwell per indicare il baffuto ed enigmatico despota del romanzo.

Ma quante altre, “profezie” orweliane, quali sue altre “visioni” si sono avverate?

Vediamo.

E’ meno noto che un’altra espressione, sempre coniata da Orwell, fu utilizzata, in ambito sanitario, dallo psichiatra David Cooper.

Il termine in questione è “psicopoliziotti”.

“Psicoreato”, in 1984, indica il pensare in maniera difforme da quella “suggerita” dal sistema. Gli “psicopoliziotti” svolgerebbero, quindi, il compito di individuare e reprimere questo tipo di reato. David Cooper, insieme a Ronald Laing, esponente della cosiddetta “antipsichiatria”, accusò (come segnala Vittorino Andreoli nel suo “Un secolo di follia”) i colleghi della psichiatria “ortodossa” di svolgere una attività di psicopolizia, al servizio del sistema capitalistico.

Leggendo, ci imbattiamo, poi, in una, inquietante, lista degli, apparentemente innocui, strumenti che il regime utilizza per instupidire la popolazione: “giornali-spazzatura che contenevano solo sport, fatti di cronaca nera, oroscopi, romanzetti rosa, film stracolmi di sesso e canzonette sentimentali”.

Per non parlare della, dettagliata, spiegazione di come l’impoverimento della lingua venga utilizzato per “restringere al massimo la sfera di azione del pensiero”: alla fine lo psicoreato sarà praticamente impossibile.

Vorremmo, per concludere, soffermarci, brevemente, sulla questione dei testi delle “canzonette sentimentali” di cui sopra.

Ci permettiamo di suggerire, a titolo di esempio, di porre attenzione a come, nelle canzoni, venga descritto ed esaltato il "vero" amore (“senza te morirei, senza te scoppierei”, “io senza te non vivo più”, e via dicendo), una descrizione che fa pensare ad una forma grave di disturbo ossessivo-compulsivo, più che ad un rapporto umano sano. (Vedi “IL CERVELLO BLOCCATO” di Jeffrey Schwartz”).

Analoghe considerazioni potrebbero essere fatte su molti dei concetti e delle convinzioni che vanno a formare la mitologia (cultura?) che sta a fondamento della società.

Una mitologia inculcata a suon di gorgheggi e melodie strappalacrime; suggestioni letterarie e cinematografiche.