martedì 12 aprile 2011

Da Ireneo a Freud: una lobotomia lunga diciotto secoli?

Scrive Norman Doidge a pag. 56 del suo libro “Il cervello infinito”:
“In un cervello immaturo il numero di connessioni neuronali, o sinapsi, è superiore del cinquanta per cento rispetto ad un cervello adulto. Quando raggiungiamo l'adolescenza il cervello mette in atto una operazione di radicale 'potatura': le sinapsi e i neuroni che sono stati utilizzati in maniera limitata improvvisamente muoiono secondo il principio 'use it or lose it', usalo o lo perderai”.

Il cervello verrebbe cioè “depotenziato” dai processi di socializzazione.

Da qui una domanda: il mancato utilizzo di una funzionalità cerebrale può determinarne la compromissione?

Detto in altri termini: si può ipotizzare che una “cultura” possa “scoraggiare” l’utilizzo di alcune facoltà mentali e provocare una menomazione cerebrale?

Secondo il professor Umberto Galimberti una operazione di rimozione si è, effettivamente, verificata:

“E' la gnosi: una storia che oggi può apparire di nessun interesse se non fosse nata dall' incontro tra Oriente ed Occidente e se l'Occidente , per realizzare se stesso secondo il modello che la razionalità greca aveva appena coniato, non avesse impiegato diversi secoli per rimuoverla, costringendola a quella vita sommersa, segreta, esoterica” (Repubblica del 22/9/2007)

Leggendo gli scritti di Ireneo da Lione, vissuto a cavallo tra il secondo e il terzo secolo dopo Cristo e considerato uno dei Padri della Chiesa, si resta meravigliati dell’accanimento con cui si oppone all’utilizzo, da parte dei cosiddetti “eretici” (da non dimenticare che “eretico” significava, in origine, “colui che compie una scelta”) della “epinoia”.

“Epinoia” è un termine che compare frequentemente in antichi testi cristiani, i cosiddetti “apocrifi”, che non sono stati inclusi nel cosiddetto “canone”.

Nei vangeli canonici, invece, ci imbattiamo nel termine “metanoia” e precisamente nel vangelo di Luca: “La metanoia è questione di vita o di morte” (Lc 13,3.5) e in quello di Marco: “Ad essa è condizionata la salvezza futura” (Mc 6,12).

Non esistono traduzioni precise dei termini “epinoia” e “metanoia”, ( imparentati strettamente con la “gnosi”), ma risulta evidente come ad essi gli antichi attribuissero una particolare importanza.

Aiutiamoci con la lettura de “Il vangelo segreto di Tommaso” di Elaine Pagels:

“(Ireneo) ribadì più volte che le Scritture andavano lette con dianoia, ossia con la capacità di discernere il significato o l'intenzione impliciti nel testo. E soprattutto ammonì i fedeli a guardarsi dall'epinoia… conoscere Dio «non attraverso la teologia dogmatica, ma attraverso l'esperienza viva e l'intuizione»

“Un altro libro scoperto a Nag Hammadi, intitolato L'Origine del Mondo, afferma che quando il primo uomo e la prima donna si accorsero della propria nudità, «capirono di essere privi della comprensione spirituale [gnosi]». Ma ecco «apparire, sfolgorante di luce», la radiosa epinoia, che ne «risvegliò la coscienza»”.

Sappiamo che anche Sigmund Freud manifestò un certo fastidio riguardo a stati di coscienza che esulassero da quelli ordinari.

Dal lungo carteggio intrattenuto con Romain Rolland si evince come Freud abbia negato con decisione l’oggettività di quegli stati caratterizzati da senso di eternità, positività, coscienza profonda di se stesso, di quella sensazione di benessere supremo, che egli definì “sentimento oceanico”. Ne “Il disagio della civiltà” ammise: “Per quel che mi riguarda, non riesco a scoprire in me questo sentimento oceanico”. Ed è in conseguenza di questa sua “limitatezza”, che egli non incluse il “sentimento oceanico” nel sistema delle sue teorie psicologiche e terapeutiche.

Nel recente “La scoperta del giardino della mente” la neuroscienziata statunitense Jill Bolte Taylor (http://www.youtube.com/watch?v=WtgP_yM8E4I), narra, in maniera estremamente efficace, di come lei stessa, a seguito di un ictus cerebrale, sia giunta a sperimentare similari stati di coscienza.
In qualità di “addetta ai lavori” la Dott.ssa Taylor fornisce una dettagliatissima spiegazione del perché simili esperienze possano verificarsi, di quali siano i meccanismi fisiologici ed esse sottese e, soprattutto, di come siano alla portata di chiunque, senza, necessariamente passare per l’esperienza dell’ictus.

“L'ictus mi ha aperto gli occhi non soltanto sulla bellezza e sulla capacità di recupero del cervello, ma anche sulla generosità dell'animo umano”. (pag. 131)

“Aiutare la gente a tirare fuori la pace, la gioia e la grande bellezza che ha dentro è diventata, per me, una missione”. (pag. 132)

Tirando le somme, ci troviamo di fronte alla, curiosa, evidenza storica che sia il Dott. Freud che il vescovo Ireneo abbiano, concordemente, manifestato una certa “intolleranza” nei confronti quelle esperienze “estatiche”, che le più avanzate ricerche nel campo delle neuroscienze stanno, oggi, ipotizzando come derivabili da un utilizzo ottimale del nostro cervello.

Il neuroscienziato americano Joe Dispensa (http://www.youtube.com/watch?v=9s3ciIjnz1E&feature=related) è fra quei ricercatori che tendono a ricondurre questi stati particolari della coscienza alla attività del lobo frontale, la cui funzione descrive in questi termini:

“Il lobo frontale è una porta che dobbiamo attraversare se scegliamo di spezzare il ciclo del pensare e agire, agire e pensare ripetitivamente. Se vogliamo liberarci dalla dipendenza emozionale a base chimica che ha il dominio sulla nostra vita dobbiamo imparare ad utilizzare questa meraviglia del nostro sviluppo evolutivo chiamato lobo frontale”. (da “Evolvi il tuo cervello” pag. 279)

“Imparare ad acquietare il chiacchericcio interiore che risulta da una focalizzazione quasi ossessiva sull'ambiente esterno e l'occuparsi del conseguente stato emozionale da cui siamo diventati dipendenti significa servirsi del nostro dono più grande, il lobo frontale”. (da “Evolvi il tuo cervello” pag. 342)

Misurazioni effettuate sul cervello di monaci che praticano la meditazione hanno evidenziato che l’atto meditativo determina un incremento della attività del lobo frontale e, in tempi sufficientemente lunghi, un incremento volumetrico del lobo stesso.

Va da sé che il non-uso ne determini, all’opposto, una, progressiva, atrofizzazione.

Una lenta, indolore, allegra e spensierata, lobotomizzazione “culturale” di massa, efficacemente narrata nel libro "Il mondo nuovo" da Aldous Huxley e nel, tragicamente, comico film "Idiocracy" di Myke Judge.

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