venerdì 29 aprile 2011

COMPUTER E STUPIDITA' ARTIFICIALE

“INTELLIGENZA ARTIFICIALE” è definizione coniata nel 1956 dal matematico statunitense John McCarthy, oramai entrata a far parte del lessico quotidiano.

L’espressione, come si sa, si riferisce al complesso delle elaborazioni effettuate dai computer, che consistono in ordinarie, anche se rapidissime, operazioni di calcolo.

L’intelligenza equivarrebbe, quindi, ad una qualche abilità nel calcolo.

Considerando che il calcolo consiste in una serie di passaggi che conducono, a partire da alcuni dati iniziali, attraverso percorsi obbligati (algoritmi e software), ad un risultato finale, suona, a dir poco, riduttivo considerare “intelligente” un qualcosa di così “meccanico”, “prevedibile e, soprattutto, manipolabile.

Alla luce di ciò sarebbe, forse, più appropriata l’espressione “STUPIDITA’ ARTIFICIALE”, dove il termine stupidità, inteso come “modus operandi” e non come giudizio di valore, indicherebbe una procedura che si svolge con modalità predefinite.

Se riportiamo al comportamento umano il ragionamento ci troviamo di fronte a questioni delicate.

Potremmo chiederci se siano ipotizzabili comportamenti umani non predefiniti, che esulino dalla programmazione impartita dal gruppo sociale, ovvero non connotati da stupidità.

Il grande logico matematico Emile Post aveva posto la questione nei seguenti termini:

“La mente umana è determinata da un programma che essa eseguirebbe senza conoscerlo?...pensare secondo regole predefinite significa pensare come una macchina. Siamo allora macchine? ....o possiamo, in qualche modo, far deviare la mente fino a sganciarla da questi programmi? Possiamo immaginare un processo di pensiero che nessuna macchina di Turing sarebbe in grado di riprodurre?”

Anche Gustav Jung si occupò della questione quando parlò del “PROCESSO DI INDIVIDUAZIONE”, grazie al quale l'individuo può affermare la sua autonomia rispetto ai modelli collettivi.

Date queste premesse l’aforisma, di autore ignoto, che recita “I computer non potranno mai rimpiazzare la stupidità umana”, potrebbe essere riformulato nei seguenti termini: “I computer rappresentano l’espressione tecnologica della stupidità umana”.

martedì 12 aprile 2011

Da Ireneo a Freud: una lobotomia lunga diciotto secoli?

Scrive Norman Doidge a pag. 56 del suo libro “Il cervello infinito”:
“In un cervello immaturo il numero di connessioni neuronali, o sinapsi, è superiore del cinquanta per cento rispetto ad un cervello adulto. Quando raggiungiamo l'adolescenza il cervello mette in atto una operazione di radicale 'potatura': le sinapsi e i neuroni che sono stati utilizzati in maniera limitata improvvisamente muoiono secondo il principio 'use it or lose it', usalo o lo perderai”.

Il cervello verrebbe cioè “depotenziato” dai processi di socializzazione.

Da qui una domanda: il mancato utilizzo di una funzionalità cerebrale può determinarne la compromissione?

Detto in altri termini: si può ipotizzare che una “cultura” possa “scoraggiare” l’utilizzo di alcune facoltà mentali e provocare una menomazione cerebrale?

Secondo il professor Umberto Galimberti una operazione di rimozione si è, effettivamente, verificata:

“E' la gnosi: una storia che oggi può apparire di nessun interesse se non fosse nata dall' incontro tra Oriente ed Occidente e se l'Occidente , per realizzare se stesso secondo il modello che la razionalità greca aveva appena coniato, non avesse impiegato diversi secoli per rimuoverla, costringendola a quella vita sommersa, segreta, esoterica” (Repubblica del 22/9/2007)

Leggendo gli scritti di Ireneo da Lione, vissuto a cavallo tra il secondo e il terzo secolo dopo Cristo e considerato uno dei Padri della Chiesa, si resta meravigliati dell’accanimento con cui si oppone all’utilizzo, da parte dei cosiddetti “eretici” (da non dimenticare che “eretico” significava, in origine, “colui che compie una scelta”) della “epinoia”.

“Epinoia” è un termine che compare frequentemente in antichi testi cristiani, i cosiddetti “apocrifi”, che non sono stati inclusi nel cosiddetto “canone”.

Nei vangeli canonici, invece, ci imbattiamo nel termine “metanoia” e precisamente nel vangelo di Luca: “La metanoia è questione di vita o di morte” (Lc 13,3.5) e in quello di Marco: “Ad essa è condizionata la salvezza futura” (Mc 6,12).

Non esistono traduzioni precise dei termini “epinoia” e “metanoia”, ( imparentati strettamente con la “gnosi”), ma risulta evidente come ad essi gli antichi attribuissero una particolare importanza.

Aiutiamoci con la lettura de “Il vangelo segreto di Tommaso” di Elaine Pagels:

“(Ireneo) ribadì più volte che le Scritture andavano lette con dianoia, ossia con la capacità di discernere il significato o l'intenzione impliciti nel testo. E soprattutto ammonì i fedeli a guardarsi dall'epinoia… conoscere Dio «non attraverso la teologia dogmatica, ma attraverso l'esperienza viva e l'intuizione»

“Un altro libro scoperto a Nag Hammadi, intitolato L'Origine del Mondo, afferma che quando il primo uomo e la prima donna si accorsero della propria nudità, «capirono di essere privi della comprensione spirituale [gnosi]». Ma ecco «apparire, sfolgorante di luce», la radiosa epinoia, che ne «risvegliò la coscienza»”.

Sappiamo che anche Sigmund Freud manifestò un certo fastidio riguardo a stati di coscienza che esulassero da quelli ordinari.

Dal lungo carteggio intrattenuto con Romain Rolland si evince come Freud abbia negato con decisione l’oggettività di quegli stati caratterizzati da senso di eternità, positività, coscienza profonda di se stesso, di quella sensazione di benessere supremo, che egli definì “sentimento oceanico”. Ne “Il disagio della civiltà” ammise: “Per quel che mi riguarda, non riesco a scoprire in me questo sentimento oceanico”. Ed è in conseguenza di questa sua “limitatezza”, che egli non incluse il “sentimento oceanico” nel sistema delle sue teorie psicologiche e terapeutiche.

Nel recente “La scoperta del giardino della mente” la neuroscienziata statunitense Jill Bolte Taylor (http://www.youtube.com/watch?v=WtgP_yM8E4I), narra, in maniera estremamente efficace, di come lei stessa, a seguito di un ictus cerebrale, sia giunta a sperimentare similari stati di coscienza.
In qualità di “addetta ai lavori” la Dott.ssa Taylor fornisce una dettagliatissima spiegazione del perché simili esperienze possano verificarsi, di quali siano i meccanismi fisiologici ed esse sottese e, soprattutto, di come siano alla portata di chiunque, senza, necessariamente passare per l’esperienza dell’ictus.

“L'ictus mi ha aperto gli occhi non soltanto sulla bellezza e sulla capacità di recupero del cervello, ma anche sulla generosità dell'animo umano”. (pag. 131)

“Aiutare la gente a tirare fuori la pace, la gioia e la grande bellezza che ha dentro è diventata, per me, una missione”. (pag. 132)

Tirando le somme, ci troviamo di fronte alla, curiosa, evidenza storica che sia il Dott. Freud che il vescovo Ireneo abbiano, concordemente, manifestato una certa “intolleranza” nei confronti quelle esperienze “estatiche”, che le più avanzate ricerche nel campo delle neuroscienze stanno, oggi, ipotizzando come derivabili da un utilizzo ottimale del nostro cervello.

Il neuroscienziato americano Joe Dispensa (http://www.youtube.com/watch?v=9s3ciIjnz1E&feature=related) è fra quei ricercatori che tendono a ricondurre questi stati particolari della coscienza alla attività del lobo frontale, la cui funzione descrive in questi termini:

“Il lobo frontale è una porta che dobbiamo attraversare se scegliamo di spezzare il ciclo del pensare e agire, agire e pensare ripetitivamente. Se vogliamo liberarci dalla dipendenza emozionale a base chimica che ha il dominio sulla nostra vita dobbiamo imparare ad utilizzare questa meraviglia del nostro sviluppo evolutivo chiamato lobo frontale”. (da “Evolvi il tuo cervello” pag. 279)

“Imparare ad acquietare il chiacchericcio interiore che risulta da una focalizzazione quasi ossessiva sull'ambiente esterno e l'occuparsi del conseguente stato emozionale da cui siamo diventati dipendenti significa servirsi del nostro dono più grande, il lobo frontale”. (da “Evolvi il tuo cervello” pag. 342)

Misurazioni effettuate sul cervello di monaci che praticano la meditazione hanno evidenziato che l’atto meditativo determina un incremento della attività del lobo frontale e, in tempi sufficientemente lunghi, un incremento volumetrico del lobo stesso.

Va da sé che il non-uso ne determini, all’opposto, una, progressiva, atrofizzazione.

Una lenta, indolore, allegra e spensierata, lobotomizzazione “culturale” di massa, efficacemente narrata nel libro "Il mondo nuovo" da Aldous Huxley e nel, tragicamente, comico film "Idiocracy" di Myke Judge.

martedì 5 aprile 2011

LA VERA SCHIAVITU' DELLE DONNE

Riportiamo un passo di notevole interesse psicologico e sociale tratto dal libro "ESSERE NEL SOGNO" di Florinda Donner-Grau, che costituirà l'argomento di riflessione dell'incontro di questa sera al circolo Vie Nuove di Firenze.

“Ciò che mi preoccupa”, continuò Delia: “è che tu non sai nemmeno che, per il semplice fatto di essere donna, sei una schiava.”

Raccogliendo tutta la pazienza di cui ero capace, dissi a Delia che si sbagliava. “Oggigiorno nessuno è schiavo.”

“Le donne sono schiave”, insistette Delia. “Gli uomini rendono schiave le donne. Gli uomini ottenebrano le donne. Il loro desiderio di marchiare le donne come loro proprietà ci annebbia”, dichiarò. “Questa nebbia circonda il nostro collo come un giogo.” Il mio sguardo vacuo la fece sorridere. Si appoggiò al sedile stringendosi le mani sul petto. “Il sesso annebbia le donne”, aggiunse dolcemente e tuttavia enfaticamente. “Le donne sono così completamente annebbiate, che non riescono a considerare la possibilità che la loro bassa condizione nella vita è il diretto risultato di ciò che subiscono sessualmente.”

“Questa è la cosa più ridicola che io abbia mai udito”, esclamai. Poi, piuttosto saccentemente, mi lanciai in una lunga diatriba sulle ragioni sociali, economiche e politiche della bassa condizione femminile. Parlai profusamente dei cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni, di come le donne avessero avuto successo nella loro battaglia contro la supremazia maschile. Irritata dalla sua espressione di derisione, non potei fare a meno di commentare che senza dubbio era vittima di pregiudizi causati dalle sue stesse esperienze, dalla sua prospettiva personale.

L’intero corpo di Delia era scosso da una repressa ilarità. Fece uno sforzo per contenersi e disse: “Nulla è realmente cambiato. Le donne sono schiave. Siamo state educate ad essere schiave. Le schiave colte, sono ora occupate a denunciare gli abusi sociali e politici

commessi contro le donne. Comunque, nessuna delle schiave è in grado di mettere a fuoco la radice della loro schiavitù - l’atto sessuale- a meno che prenda in considerazione lo stupro o qualche altra forma di abuso fisico.”

Un leggero sorriso separò le sue labbra mentre diceva che gli uomini di religione, i filosofi e gli scienziati hanno affermato per secoli, e naturalmente lo fanno ancora, che gli uomini e le donne devono seguire un imperativo biologico, dettato da Dio, che ha a che fare direttamente con le loro capacità sessuali e riproduttive. “Siamo state indotte a credere che il sesso sia benefico per noi”, ella enfatizzò. “La convinzione derivante da questa accettazione ci ha rese incapaci di porci la giusta domanda.”

“E qual è questa domanda?” chiesi, sforzandomi di non ridere delle sue convinzioni completamente sbagliate.

Delia non sembrò avermi sentita, restò in silenzio così a lungo che pensai si fosse addormentata e trasalii quando disse: “La domanda che nessuno osa porsi è: qual è, su noi donne, l’effettivo risultato del farsi mettere in posizione orizzontale?”

“Dai Delia!” La rimproverai fingendo costernazione.

“L’annebbiamento delle donne è tale che, pur mettendo a fuoco ogni altro elemento della nostra inferiorità, non riusciamo a farlo con quello che è la causa di tutti gli altri”, ella affermò.

“Ma, Delia, non possiamo fare a meno del sesso”, risi. “Che cosa accadrebbe alla razza umana se non…”

Ella bloccò la mia domanda e la mia risata con un gesto imperativo della mano. “Oggigiorno, le donne come te, nel loro zelo di eguaglianza, imitano gli uomini”, disse. “Le donne imitano gli uomini in misura tale che il sesso a cui sono interessate non ha nulla a che fare con la riproduzione. Scambiano il sesso con la libertà, senza mai considerare ciò che il sesso provoca al loro benessere fisico ed emozionale. Siamo state così completamente indottrinate, che crediamo fermamente che il sesso sia benefico per noi.”

Mi diede un colpetto col gomito e poi, come se stesse recitando una salmodia, aggiunse con tono cantilenante: “Il sesso ci fa bene. È piacevole. E necessario. Allevia la depressione, la repressione e la frustrazione. Cura il mal di testa, l’alta e la bassa pressione. Fa scomparire l’acne. Abbellisce il seno e il sedere. Regola il ciclo mestruale. In breve, è fantastico! È benefico per le donne. Tutti lo dicono. Tutti lo raccomandano.” Fece una pausa di un istante e poi per finire declamò: “Una scopata al giorno leva il medico di torno.”

Trovai le sue affermazioni terribilmente divertenti, ma poi divenni improvvisamente seria, mentre ricordavo che la famiglia e gli amici, incluso il nostro medico, l’avevano suggerito - sebbene non così palesemente - come cura di tutti i disturbi adolescenziali di cui soffrivo, essendo cresciuta in un ambiente molto repressivo. Avevano detto che una volta che fossi stata sposata, avrei avuto cicli mestruali regolari. Avrei guadagnato peso. Avrei dormito meglio. Avrei avutoun carattere più dolce.

“Non vedo nulla di sbagliato nel volere il sesso e l’amore”, dissi sulla difensiva. “Quello che ho sperimentato a questo proposito mi è piaciuto moltissimo. E nessuno mi annebbia. Sono libera! Scelgo chi voglio e quando lo voglio.”

C’era una scintilla di ilarità negli scuri occhi di Delia mentre diceva: “Scegliere il tuo compagno non altera in alcun modo il fatto che vieni scopata.” Poi con un sorriso, come a voler mitigare l’asprezza del suo tono, aggiunse: “Scambiare il sesso con la libertà è l’apice dell’ironia. L’annebbiamento causato dagli uomini è così completo, così totale, che ci ha private dell’energia e dell’immaginazione necessarie per mettere a fuoco la vera causa della nostra schiavitù”.

Enfatizzò: “Volere un uomo sessualmente o innamorarsi di lui romanticamente sono le due sole scelte date alle schiave. E tutte le cose che ci sono state dette circa queste due scelte non sono altro che scuse per farci cadere nella complicità e nell’ignoranza.”

Ero indignata. Non potevo fare a meno di pensare che fosse una sorta di megera repressa che odiava gli uomini: “Perché disprezzi così tanto gli uomini, Delia?” le chiesi nel mio tono più cinico.

“Non li disprezzo”, mi assicurò. “Ciò a cui mi oppongo appassionatamente è la nostra riluttanza ad esaminare quanto siamo indottrinate. La pressione che subiamo è così implacabile e ammantata di ragionevolezza che siamo diventate complici volontarie. Chiunque osi pensare diversamente viene messa da parte e derisa come una che odia gli uomini o come vittima di una anomalia.”

Arrossendo, la guardai furtivamente. Decisi che poteva parlare in modo così sprezzante del sesso e dell’amore perché, dopotutto, era vecchia. I desideri fisici erano tutti alle sue spalle.

Ridacchiando dolcemente, Delia intrecciò le mani dietro alla testa. “I miei desideri fisici sono alle mie spalle non perché sono vecchia”, confidò, “ma perché mi è stata data la possibilità di usare la mia energia e la mia immaginazione per diventare qualcosa di diverso rispetto alla schiava che avrei dovuto essere.”